lunedì 17 marzo 2008

Cucina Etnica - Yakimeshi

Ci sono giorni in cui sento il bisogno fisico di mangiare cibo etnico: che sia giapponese, cinese, indiano, arabo, turco…poco importa. Penso sia importante conoscere le altre culture e reputo che attraverso la storia gastronomica di un determinato luogo si possa carpire l’essenza stessa del paese. Insomma, tutto questo per dire che sono andata a mangiare Giapponese in un ristorante in zona Monumentale che si chiama MITSUI. I prezzi sono piuttosto alti rispetto a molti altri ristoranti giapponesi (per due piatti si spendono circa 16 euro escluse le bevande) ma la qualità è davvero ottima. Il locale non è grande, anzi, penso che in tutto abbia circa 25-26 coperti. I due cuochi (almeno penso siano due) sono molto gentili e le cameriere (rigorosamente orientali e con la classica camicetta in seta stile origami) sanno tranquillamente parlare l’italiano o perlomeno lo riescono a capire.
Non essendo la mia prima volta al MITSUI, non ho preso sushi o sashimi, ma a coloro che vanno in un ristorante giapponese consiglio sempre di provare quello. Non tanto perché è il piatto “tipico” per eccellenza, bensì poiché dal modo in cui avviene la preparazione, si capirà immediatamente la qualità del ristorante.
Non avendo voglia di mangiare pesce crudo (il tempo non era dei migliori e il mio stomaco chiedeva qualcosa di caldo), ho deciso di ordinare uno dei miei piatti preferiti: YAKIMESHI, ossia riso saltato in padella avvolto nella classica frittata giapponese sottilissima. Che delizia dei sensi! Ho deciso che proverò a fare questa ricetta, mi basterà fare una visitina al mio amato supermercato etnico KATHAY e prendere tutto l’occorrente.
La ricetta è molto semplice, dovrete solamente preparare il riso al vapore alla giapponese, ossia sciacquandolo fino a che l’acqua non risulterà limpida per eliminare ogni traccia di amido presente nel riso ed evitare il classico effetto “onda” che si ottiene cucinando il riso all’italiana. Una volta cotto andrà saltato in padella con gli ingredienti che preferite: solitamente si mette prosciutto cotto, cipollotti, carote, zucchine e uova che, una volta insaporiti e saltati con il riso vengono avvolti all’interno della famigerata frittata sottile (tamago). Per la frittata vi serviranno solo delle uova, un pizzico di zucchero (no sale, mi raccomando) e un pochino di latte e farina. La preparazione è identica a quella delle crepes…deve essere sottilissima!!!!

A presto

A.

PS: la salsina che si vede nella foto e salsa DASHI, la potete trovare in qualsiasi supermercato etnico, o in alternativa chiedere al vostro ristorante di fiducia di procurarvelo!!!

martedì 4 marzo 2008

La Scienza in cucina e l'Arte di Mangiar bene - P. Artusi


Pellegrino Artusi (Forlimpopoli, 4 agosto 1820 – Firenze, 30 marzo 1911) è stato un critico letterario, scrittore e gastronomo italiano.
Figlio di un mercante, Agostino Artusi, come molti ragazzi di buona famiglia compì gli studi al seminario di Bertinoro, sempre nel forlivese. La frequentazione, da studente iscritto, dell'Università di Bologna, fino al conseguimento della Laurea in Lettere, date per certe, senza fondamenti documentari, per qualche decennio, sulla base della distratta o forzata lettura di un brano della sua opera, non ha trovato riscontro nella puntigliosa e accurata ricerca, da parte di uno studioso bolognese, in nessuna delle pertinenti fonti d'archivio dell'Ateneo felsineo degli anni , gli unici ipotizzabili, tra il 1835 e il 1851. Pellegrino Artusi ha certamente frequentato ambienti studenteschi bolognesi, nei primi anni '40, facendo la conoscenza, nella locanda Tre Re, del patriota romagnolo Felice Orsini, e forse una non meglio identificata "altra scuola a Bologna", che non era comunque l'Università. Tornato nel suo paese natale, intraprese la professione del padre, ricavandone un certo profitto, ma la vita della famiglia Artusi venne sconvolta dall'incursione del 25 agosto 1851 a Forlimpopoli del brigante Stefano Pelloni, detto il Passatore. Costui prese in ostaggio nel Teatro della città tutte le famiglie facoltose, obbligandole a pagare un "dazio" cospicuo, per poi lasciare rapidamente la città. A seguito della scorreria una delle sorelle di Pellegrino, Gertrude, impazzì e dovette essere ricoverata in manicomio. Diversi storici e biografi ritengono che in realtà la ragazza avesse subito violenza fisica da parte degli sgherri del brigante.
L'anno dopo, tutta la famiglia si trasferì a Firenze. Qui Pellegrino si dedicò alla mercatura con un successo tale che, a quarantacinque anni, poté tranquillamente ritirarsi e vivere di rendita, libero di dedicarsi ai suoi principali interessi, la letteratura e la cucina. Acquistò una casa in piazza D'Azeglio a Firenze, dove tranquillamente condusse la sua esistenza fino al 1911, quando morì, a 91 anni.

tratto da: Wikipedia